L'ode il Cinque Maggio fu scritta, di getto, in soli tre o quattro giorni, dal Manzoni commosso dalla conversione cristiana di Napoleone avvenuta prima della sua morte (la notizia della morte di Napoleone si diffuse il 16 luglio 1821 e fu pubblicata nella "Gazzetta di Milano"). Nonostante la censura austriaca, l'ode ebbe una larga diffusione europea grazie al Goethe che la fece pubblicare su una rivista tedesca "Ueber Kunst und Alterthum". La prima edizione avvenne nel 1823 a Torino presso il Marietti. L'ode scritta dal Manzoni, per alcune tematiche (tema del ricordo, evocazione della storia) ha delle analogie con il Coro di Ermengarda e con la Pentecoste e soprattutto ha in comune con essi, quello schema che parte da un inizio drammatico e si conclude con un moto di preghiera.
Ei fu. Siccome immobile, dato il mortal sospiro, stette la spoglia immemore orba di tanto spiro, così percossa, attonita la terra al nunzio sta, muta pensando all'ultima ora dell'uom fatale; né sa quando una simile orma di pie' mortale la sua cruenta polvere a calpestar verrà. Lui folgorante in solio vide il mio genio e tacque; quando, con vece assidua, cadde, risorse e giacque, di mille voci al sònito mista la sua non ha: vergin di servo encomio e di codardo oltraggio, sorge or commosso al sùbito sparir di tanto raggio; e scioglie all'urna un cantico che forse non morrà. Dall'Alpi alle Piramidi, dal Manzanarre al Reno, di quel securo il fulmine tenea dietro al baleno; scoppiò da Scilla al Tanai, dall'uno all'altro mar. Fu vera gloria? Ai posteri l'ardua sentenza: nui chiniam la fronte al Massimo Fattor, che volle in lui del creator suo spirito più vasta orma stampar. La procellosa e trepida gioia d'un gran disegno, l'ansia d'un cor che indocile serve, pensando al regno; e il giunge, e tiene un premio ch'era follia sperar; tutto ei provò: la gloria maggior dopo il periglio, la fuga e la vittoria, la reggia e il tristo esiglio; due volte nella polvere, due volte sull'altar. Ei si nomò: due secoli, l'un contro l'altro armato, sommessi a lui si volsero, come aspettando il fato; ei fe' silenzio, ed arbitro s'assise in mezzo a lor. E sparve, e i dì nell'ozio chiuse in sì breve sponda, segno d'immensa invidia e di pietà profonda, d'inestinguibil odio e d'indomato amor. Come sul capo al naufrago l'onda s'avvolve e pesa, l'onda su cui del misero, alta pur dianzi e tesa, scorrea la vista a scernere prode remote invan; tal su quell'alma il cumulo delle memorie scese. Oh quante volte ai posteri narrar se stesso imprese, e sull'eterne pagine cadde la stanca man! Oh quante volte, al tacito morir d'un giorno inerte, chinati i rai fulminei, le braccia al sen conserte, stette, e dei dì che furono l'assalse il sovvenir! E ripensò le mobili tende, e i percossi valli, e il lampo de' manipoli, e l'onda dei cavalli, e il concitato imperio e il celere ubbidir. Ahi! forse a tanto strazio cadde lo spirto anelo, e disperò; ma valida venne una man dal cielo, e in più spirabil aere pietosa il trasportò; e l'avvïò, pei floridi sentier della speranza, ai campi eterni, al premio che i desideri avanza, dov'è silenzio e tenebre la gloria che passò. Bella Immortal! benefica Fede ai trïonfi avvezza! Scrivi ancor questo, allegrati; ché più superba altezza al disonor del Gòlgota giammai non si chinò. Tu dalle stanche ceneri sperdi ogni ria parola: il Dio che atterra e suscita, che affanna e che consola, sulla deserta coltrice accanto a lui posò. |
Metro: ode di diciotto strofe, composte da sei
settenari, sdruccioli (1°, 3°, 5) piani (2° e 4°, fra loro
rimanti) e tronco l'ultimo che rima con l'ultimo della strofa
successivo.
Schema: ABCBDE
Analisi del testo
L'Ode può essere divisa in due parti, la prima che va dal
prologo fino alla nona strofa, di tono epico, in cui emerge la
figura storica di Napoleone, dall'ascesa alla caduta La seconda
dalla decima strofa in poi, di tono più contemplativo e lirico
(si entra qui nell'animo dell'imperatore) il cui motivo
conducente e la definitiva caduta di Napoleone come uomo e
l'inizio del suo riscatto spirituale e religioso.
I Parte
L'ode si apre con un forte inciso "Ei fu" in cui pare
sia isolata la grandezza "dell'uom fatale", mentre con
attonito stupore la terra accoglie la notizia della morte del
potente personaggio che ha tenuto in pugno per tanti anni i
destini d'Europa (è da notare il doppio significato della parola
terra, vale a dire di metafora del mondo umano da una parte, e
dall'altra, come campo di battaglia insanguinato dai soldati che
per lunghi anni si sono combattuti).
Nella seconda e terza strofa il Manzoni dà le ragioni del motivo
per cui tratta l'argomento e mette in risalto il fatto che egli
abbia composto l'ode senza nessun'ombra di piaggeria o di
reverenza verso l'imperatore. In questa parte sono importanti il
termine "genio" di chiara reminiscenza pariniana, ma
dai forti connotati manzoniani e dal diverso significato, e
"forse", che conclude la quarta strofa, in cui emerge
chiara la visione cristiana e provvidenziale del poeta.
Con la quinta strofa si ha l'esaltazione della potenza di
Napoleone che si concluderà nel verso 54. Qui la strofa si anima
e con rapidi tratti è descritta l'immagine di condottiero di
Napoleone (è da notare l'alternarsi in tutta l'ode di toni
descrittivi ed epici a toni più riflessivi) che si contrappone a
quella del corpo immemore presente nella prima strofa.
Rapidamente però il tono rallenta e diventa nuovamente
contemplativo con la domanda "Fu vera gloria?", in cui
Manzoni rispondendo vuol mettere in risalto, più che le
grandezze terrene del condottiero, la statura morale dell'uomo:
con la propria conversione, infatti, Napoleone ha dato
un'ulteriore prova della grandezza di Dio che servendosi di lui
ha stampato "la più vasta orma sulla terra". Le ultime
tre strofe, continuano con la descrizione del raggiungimento del
disegno di gloria di Napoleone (settima e ottava strofa) e della
sua grandezza umana (nona strofa). Particolare rilievo si deve
dare ad alcuni termini in antitesi tra loro che rendono bene
l'instabilità del potere e della gloria umana che caratterizzano
l'ottava strofa: gloria-periglio; fuga-vittoria; reggia-esiglio;
polvere-altar. Con "Ei si nomò" (v.49), cioè con
l'enfatizzazione dell'uso antonomastico del pronome si conclude
così la prima parte dell'ode.
II Parte
Il motivo conduttore di questa seconda parte dell'ode é il verbo
"giacque", che ha il significato della caduta
definitiva di Napoleone e l'inizio del suo riscatto spirituale.
Scompare il pronome antonomastico e la figura dell'imperatore
viene espressa attraverso una terza persona più comune, "E
sparve, e dì nell'ozio", "E ripensò..." La
strofa centrale di questa parte è la similitudine espressa nei
versi 61-68.Questa è la parte fondamentale in cui avviene il
ripudio delle vane glorie terrene e il sollevarsi verso l'eterno.
Napoleone è come un naufrago che prima a lungo ha nuotato nel
mare tempestoso della vita cercando terre remote, cioè cercando
un significato della vita che le desse un senso. Ma questo suo
sforzo è risultato vano, poiché solo Dio può rendere concreta
la sete d'eternità è d'infinito presente nell'uomo e non le
effimere glorie terrene. Anche l'ultima speranza di lasciare ai
posteri la memoria di sé risulta vana. "Il cumulo di
memorie" invece di lasciare la memoria eterna della propria
epopea, diventano per Napoleone, un peso insopportabile, "la
stanca man" che cade "sull'eterne pagine" assume
il significato dell'estrema sconfitta umana. La figura di questa
sconfitta è magistralmente descritta dall'immagine presente nel
verso 75: "chinati i rai fulminei" (gli occhi, rai, una
volta balenanti sono ora chini al suolo).
La strofa quattordicesima descrive le ultime immagini che
scorrono nella mente di Napoleone prima di morire. Sono immagini
nostalgiche di un passato di gloria e di battaglie, che non
ritorneranno più. Questa strofa e caratterizzato dall'uso del
polisindeto, cioè l'uso ripetitivo della e posta in
capo al verso come il rintocco richiama costantemente gli
asindeti epici (ei fu ... ei provò... ei fe' silenzio) e sembra
costruire in tutta l'ode, una linea sintattica che si prolunga
sino a e sparve, in cui si denota la caducità della vicenda
umana di Napoleone, e si conclude con il verbo e l'avviò in cui
avviene l'annullamento della volontà umana nella provvidenza
divina.
Avviandoci verso la fine dell'ode c'imbattiamo nella penultima
strofa in cui il poeta riprende la voce dell'oratore. Questa
strofa dell'opera, dal tono biblico e profetico, è stata
aspramente criticata per le sue reminiscenze di retorica
ecclesiastica (ha quasi un tono da chiesa barocca).
"Sulla deserta coltrice/accanto a lui posò", è
un'immagine piena di significato con cui si conclude l'ode. Il
letto deserto qui giace Napoleone, abbandonato dagli uomini è
visitato da Dio, che ha conosciuto anch'egli la morte e il dolore
e perciò non abbandona mai l'uomo nei suoi attimi finali di
vita. E' un'immagine che esprime una visione profondamente
cristiana del destino dell'uomo.
Analisi sintattica e lessicale
Sintassi:
- predominanza proposizioni coordinate (periodi paratattici)
- uso di inversioni e prolessi
La sintassi dell'ode è una sintassi tipicamente poetica che
riprende una forma antica. All'interno di essa vi sono infatti
molte inversioni e prolessi (il complemento di specificazione e
oggetto, apposizione sono posti all'inizio del verso. Questo è
un tipico artificio retorico, usato in poesia, che scoordina il
normale enunciato soggetto-verbo-complemento, per mettere il
risalto le parole d'inizio verso es: di mille voci al sonito
ecc.). Questa forma però e rivitalizzata dal Manzoni perché
inserita in un contesto stilistico diverso e per questo motivo
alcune inversioni prolettiche che coinvolgono il complemento
oggetto passano del tutto inosservate essenzialmente per due
motivi che Terracini spiega nella sua analisi del Cinque Maggio:
1) "irraggia su di esse il riflesso del comune andamento
discorsivo e piano che predomina nell'Ode e anzi spicca nelle
parti riflessive (e scioglie all'urna un cantico... sperdi ogni
ria parola...);
2) nell'ode "entra in gioco una sorta di equilibro,
metrico a un tempo sintattico, che interviene direi col suo peso
a neutralizzare la forza dell'inversione prolettica. Un esempio
evidente lo abbiamo visto nelle due strofe la procellosa e
trepida... tutto ei provò: la gloria... che fanno l'uno da
contrappeso all'altra. Un altro caso si deve scorgere in e i dì
nell'ozio chiuse... dove l'inversione è tutta contenuta nella
porzione a intonazione sospensiva della frase, che riversa tutto
il suo peso sulla parte conclusiva prolungantesi per ben quattro
versi, fino al finale della strofa".
Terracini conclude:
"Possiamo dunque affermare che in linea generale si deve
soprattutto al potere irraggiante della piana sintassi discorsiva
su cui corre l'ode, se in essa trovano posto adeguato tutti quei
tratti della forma poetica tradizionale che il Manzoni, per le
note ragioni prospettiche, conserva, ma ad un tempo rinnova sì
da appaiarle alle forme e agli atteggiamenti nuovi che assorbe
dal romanticismo: come sarebbero il procedere per antitesi e
affidarsi all'espressività di un lessico spoglio di paludamento
letterario".
Lessico:
- uso corrispondenze che ricalcano l'opposizione iniziale (ei...
la terra). Infatti, tutta l'ode è costruita su queste
opposizioni che contrappongono l'attività dell'eroe e la
caducità della sua opera, oppure "il prepotente incalzare
della sua brama di potere con le reazioni discordi del
mondo" (Terracini) Es: immensa invidia... pietà profonda.
- uso frequente dell'aggettivo (soprattutto l'equiparazione
aggettivo-participio passato (s'assise... alta scorrea ...
valida).
- lessico ripreso dalla tradizione letteraria (spirto, polve,
rio, aere, alma, periglio, sonito, solio, urna, cruenta) e
riferimenti biblici (disonor del Golgota ).
Il lessico Manzoniano, a ogni modo, nonostante attinga dal
repertorio aulico della tradizione poetica italiana, è sempre
dominato dall'idea antiretorica che il poeta aveva della lingua
ed infatti ogni termine è proteso verso le parole fraterne e
comuni (chiaramente comuni a chi aveva conoscenza del linguaggio
poetico). In questa ricerca del termine comprensibile ai più,
della limatura delle parole, dell'eliminazione di ciò che
risulta poeticamente superfluo e della ricerca del termine
calzante, esiste una certa analogia con "I Promessi
Sposi" e con gli sviluppi successivi del linguaggio
manzoniano.
by Antelitteram